Aldarion ed Erendis
Aldarion ed Erendis (dai Racconti Incompiuti)
La storia di Aldarion ed Erendis è senz'altro il più affascinante tra i Racconti Incompiuti e credo di poter annoverare tra i motivi di tale fascino l'estrema modernità della storia e l'accurata analisi psicologica dei caratteri dei protagonisti: Aldarion è l'erede al trono di Númenor ed è consumato sin dalla più giovane età dalla passione per il mare e l'esplorazione, mentre Erendis è cresciuta all'interno dell'isola ed ha abbracciato senza riserva l'amore per la natura e per la vita stanziale; i due si conoscono e si innamorano, ma la loro relazione soffre sia per le differenze tra i due caratteri sia per le numerose e prolungate separazioni che la vita 'raminga' di Aldarion comporta, al punto tale da ostacolare anche il loro matrimonio che naufraga (termine quanto mai adatto...) in breve tempo, conducendoli al progressivo allontanamento ed alla definitiva separazione - cosa ancora più grave, i loro contrasti pregiudicano anche lo sviluppo psico-emotivo dell'unica figlia Ancalime; purtroppo il racconto non fu mai terminato da Tolkien e la dolorosa conclusione è affidata a poche e contraddittorie note dell'autore ed alle estrapolazioni del figlio Christopher.
La riflessione primaria che si può trarre dalla lettura è che le divergenti nature dei due protagonisti costituiscano il fattore principale del fallimento dell'unione, insieme al risentimento che entrambi accumulano e che finisce per minare le già traballanti basi del loro rapporto: da un lato Aldarion non rivela a nessuno, se non quando è forse troppo tardi, la motivazione principale dei suoi numerosi e prolungati viaggi verso la Terra di Mezzo - e cioé il fattivo contributo fornito a Gil-Galad e Cirdan nel contrastare l'avanzata del Male - in questo modo favorendo il legittimo sospetto che le sue escursioni siano una scusa per sottrarsi ai suoi doveri politici e familiari; dall'altro Erendis, pur sforzandosi di accettare le inclinazioni di Aldarion, non riesce ad abbandonare le proprie riserve nei confronti della sua passione per il mare, visto come un rivale che le sottrae l'affetto e le attenzioni che Erendis vorrebbe le fossero riservati in modo esclusivo, a scapito di qualsiasi altro interesse; malgrado ci vengano mostrati molti risvolti personali della loro relazione, forse in modo più marcato di quanto non accada in altre coppie 'famose' dell'universo tolkieniano, è evidente che qui manca quasi totalmente una unione spirituale che possa sopperire alle differenze caratteriali o le possa in qualche modo stemperare.
All'aggravamento della situazione contribuiscono infatti le diverse attitudini dei due protagonisti, unite ad una notevole dose di orgoglio, che ricordano molto da vicino le differenze tra gli Ent e le Entesse, perché Aldarion appare spesso animato da una profonda irrequietudine che gli impedisce di essere felice a lungo in una determinata situazione, qualunque essa sia, mentre Erendis possiede delle radici molto profonde che la legano a Númenor al punto tale da generare in lei una sorta di indifferenza nei confronti del resto del mondo: come nel caso dei pastori di alberi, lo spirito di avventura e la ricerca della libertà appaiono come elementi propri dell'animo maschile, mentre il desiderio per l'ordine ed una vita regolata come aspetti di quello femminile - questo lato della conflittualità tra i due è espresso a chiare lettere nella disapprovazione di Erendis per l'abbattimento degli alberi destinati alla costruzione delle navi, incurante del fatto che Aldarion si preoccupi anche di incrementare le foreste per controbilanciare questa necessità.
C'è un passaggio in cui le insanabili differenze tra i due sono messe in chiara luce, perché l'attaccamento di Erendis a Númenor viene mostrato come un amore statico e conservativo ("Dobbiamo amare questi doni per ciò che sono, ora, ed in ogni momento presente [...] non possiamo indugiare nel futuro con il rischio di perdere il nostro presente a scapito di un'illusione creata da noi stessi" [1]) mentre Aldarion possiede la spiccata capacità di prevedere le evoluzioni future, ed il desiderio di trovarsi preparato ad affrontare ogni possibilita' ("Mi preoccupo anche di ciò che accadrà in futuro [...] un dono non dovrebbe essere tenuto in serbo e giacere inutilizzato" [2]); due visioni diametralmente opposte e la mancanza di volontà di trovare un terreno neutrale per giungere almeno ad un compromesso: è da queste parole che si comprende come l'esito della relazione tra i due non possa che essere disastroso.
Il punto di forza del racconto consiste secondo me nell'evitare qualsiasi tentativo di assegnare una specifica 'colpa' ad una sola persona, mostrando anzi in modo molto chiaro come torto e ragione siano equamente suddivisi; a questo proposito si può sottolineare l'unico punto a favore di Aldarion, perché egli effettua un tentativo di vivere secondo i desideri di Erendis, rinunciando alla propria passione per il mare e dedicandosi unicamente al ripopolamento delle foreste e ad una vita meno nomade, mentre Erendis rimane categorica nel suo rifiuto di avvicinarsi al mare e tentare di comprendere - se non di condividere - la sconfinata passione del marito.
Il problema principale di Erendis è senz'altro la mancanza di flessibilità che la imprigiona spesso in una miope testardaggine ("Erendis non si sarebbe mai accontentata di meno, con il rischio di perdere tutto" - "Comprese la situazione perfettamente, ma non poté immaginare che esistessero altri fattori di maggiore importanza" [3]), peraltro sottolineata dalla stessa madre che le rammenta come sin dall'infanzia ella abbia sempre cercato di ottenere "tutto o niente"; per questo il suo proposito è quello di ingaggiare una battaglia con la grande passione di Aldarion, cioé il mare, prefiggendosi di "sconfiggerlo definitivamente oppure di esserne definitivamente annientata" - l'errore di Erendis, come accade spesso nella realtà, è quello di convincersi di poter cambiare una persona in modo che si adatti al proprio modo di intendere la vita, senza comprendere che si tratta di una scelta totalmente fallimentare.
Il conflitto che questa scelta forzata ha generato in Aldarion è illustrato da un bellissimo passaggio in cui egli avvista nuovamente, come per caso, il mare ed è colto da un'intensa ondata di nostalgia che riaccende l'antica passione ("Si voltò, guardando dietro di sé verso il mare. Soffiava il vento da occidente [...] e verso il litorale avanzavano le onde orlate di spuma bianca. Improvvisamente fu preda della nostalgia per il mare, come se una grande mano gli avesse afferrato la gola, ed il cuore gli balzò nel petto e gli mancò il respiro" [4]) - sembra inevitabile che il risentimento per la rinuncia cui si è sottoposto inizi ad emergere in superficie, con prevedibili conseguenze.
D'altro canto si può rimproverare ad Aldarion l'assoluta dedizione alla 'causa' che ha scelto di abbracciare: se nella sua veste pubblica può essere comprensibile - e persino lodevole - il suo impegno nel contrastare le forze del Male (come testimoniato dalla lettera che Gil-Galad invia al re Meneldur), non si può dimenticare che esso è andato a scapito degli affetti familiari più profondi, che comprendono non solo la moglie e la figlia ma anche i genitori: è certamente difficile, per chi esercita una funzione 'politica', tracciare il confine che separa il pubblico dal privato, però l'impressione che si ricava è che Aldarion privilegi il primo a scapito del secondo senza eccessivi rimpianti - quello che ai miei occhi lo condanna è la risolutezza con cui si separa dalla piccola Ancalime, come se si trattasse di un ostacolo da rimuovere dal proprio cammino, ed infatti il ricordo che in lei perdurerà di questo padre pressoché sconosciuto sarà quello della "fretta di andarsene" di Aldarion e della "fermezza" con cui distacca la mano della figlia dalla sua.
Il contrasto tra Aldarion ed Erendis si dipana fino alla inevitabile conclusione, in cui l'orgoglio ferito e la forza di carattere di entrambi giocano un ruolo decisivo, senza che sia possibile assegnare in modo definitivo la responsabilità ad uno solo dei due contendenti - come del resto appare logico, perché entrambi hanno torto e ragione in ugual misura; è però illuminante l'amara riflessione di Aldarion, una volta divenuto re, che si rammarica di aver contribuito fattivamente alla scelta di Erendis di continuare la sua vita ritirata senza voler esercitare la 'vendetta' cui il suo nuovo ruolo di regina le avrebbe dato diritto, mostrando a tutti la follia dello stesso Aldarion nell'aver rinunciato così a lungo alla sua presenza: Erendis è invece "sminuita", ed ha in questo modo dimostrato di non possedere in sé il germe della grandezza, ma solo una visione limitata e limitante ("Avrei preferito una bella Regina che mi contrastasse e mi schernisse, piuttosto che essere libero di regnare mentre Lady Elestirne si affievolisce sempre di più nel suo stesso crepuscolo" [5]).
La profonda tristezza insita in questo racconto è però più acuta quando seguiamo le vicende relative ad Ancalime, allevata da una madre intensamente amareggiata che riesce ad instillarle solo il disprezzo per gli uomini e le impedisce sia di crearsi un punto di vista individuale sia di vivere una vita felice; come i genitori Ancalime è contemporaneamente vittima e 'carnefice' ed ancora una volta testimone della estrema modernità del racconto: il suo oscillare tra la tranquillità pastorale del dominio materno ed i fasti della corte di Armenelos a seconda dell'inclinazione del momento è forse la dimostrazione di quel genere di opportunismo che si può riscontrare nei figli di genitori separati che - consci di essere l'oggetto del tiro alla fune affettivo tra loro - cercano di ottenere il meglio da entrambi i mondi come forma di riparazione per la serenità perduta; nell'ambito della tragedia familiare che coinvolge i genitori, il risvolto relativo ad Ancalime assume contorni ancora più amari, particolarmente evidenti nell'immagine di estrema solitudine e profondo rancore che accompagna la sua uscita di scena.
Un'altra riflessione interessante, solo apparentemente separata dal contesto del rapporto tra Aldarion ed Erendis, è offerta dal dubbio che attanaglia il re Meneldur quando apprende del pericolo che si profila con l'imminente ascesa di Sauron: in un parallelo della storia principale vediamo il re dibattersi tra due opposti sentimenti, due decisioni conflittuali che hanno entrambe i propri meriti ed i propri difetti – Meneldur deve decidere se rinunciare alla pace che è alla base del dono di Numenor da parte dei Valar (un luogo lontano da "odio e guerre") fornendo un sostegno attivo a Gil-Galad, oppure se restare in disparte, sordo e cieco alle necessità altrui, consciamente rimuovendo la cognizione di essere parte di un mondo più vasto.
Nel soliloquio del re sono contenuti tutti gli argomenti di un dilemma vecchio come il mondo eppure ancora attuale ed irrisolto, che come per la storia di Aldarion ed Erendis presenta motivazioni opposte ed altrettanto valide e non prospetta alcuna soluzione se non, nel caso di Meneldur, quella di demandare al figlio il potere e le scelte che esso comporta: "I miei dubbi sono troppo grandi perché io possa decidere. Prepararsi o non fare nulla? Essere pronti per la guerra, che è ancora solo una congettura: addestrare artigiani ed agricoltori a spargere sangue e combattere mentre siamo ancora in pace: armare avidi capitani che ameranno solo le conquiste, e contare i morti per la loro gloria? Diranno ad Eru: Almeno i tuoi nemici erano tra di loro? Oppure restare a guardare mentre gli amici muoiono ingiustamente: permettere che si viva in una falsa pace finché i predoni saranno alla nostra porta? Che faranno allora: combatteranno a mani nude contro le spade e moriranno inutilmente, o fuggiranno lasciandosi alle spalle le grida delle donne? Diranno ad Eru: almeno non ho versato sangue? Quando ogni strada conduce al male, a che vale scegliere?" [6].
Questo breve inciso offre la possibilità di esplorare le vicende principali da una ulteriore angolazione, cioé quella del silenzio reciproco che genera solo incomprensione: dalle parole di Meneldur si può intuire come egli attribuisca all'orgoglio di Aldarion la mancanza di comunicazione che li ha resi quasi estranei ("il suo orgoglio e la mia freddezza ci hanno allontanati per troppo tempo") – allo stesso modo, una maggiore apertura nei confronti di Erendis avrebbe potuto, se non risolvere i problemi tra i due, almeno chiarire le rispettive posizioni prima che fosse troppo tardi: che tra loro ci potesse essere ancora spazio per colmare le differenze è dimostrato nei paragrafi finali, in cui apprendiamo della morte per annegamento di Erendis, recatasi al porto di Romenna in preda alla solitudine ed all'amarezza ad attendere il ritorno di Aldarion e forse finalmente arresasi al suo acerrimo nemico, il mare, per tentare di ricongiungersi al compagno che da quel viaggio non sarebbe invece più tornato; come nella canzone degli Ent declamata da Barbalbero, forse Tolkien voleva suggerire la speranza, per quanto tenue, che ai due fosse concesso di ritrovarsi in un luogo dove "i loro cuori potessero riposare".
Note:
- [1] Such gifts [...] are to be loved for themselves now, and in all nows. [...] we cannot dwell in the time that is to come, lest we lose our now for a phantom of our own design
- [2] I think also of what it may be in time to come [...] a gift should not lie idle in hoard
- [3] Never would Erendis take less, that she might not lose all - In this she saw truly, but that anything else of greater import lay behind she did not conceive
- [4] He turned and looked back over the sea. A west wind was blowing [...] and white-crested waves marched towards the shore. Then suddenly the sea-longing took him as though a great hand had been laid on his throat, and his heart hammered, and his breath was stopped
- [5] rather a beautiful Queen to thwart me and flout me, than freedom to rule while the Lady Elestirnë falls down dim into her own twilight
- [6] I am in too great doubt to rule. To prepare or to let be? To prepare for war, which is yet only guessed: train craftsmen and tillers in the midst of peace for bloodspilling and battle: put iron in the hands of greedy captains who will love only conquest, and count the slain as their glory? Will they say to Eru: At least your enemies were amongst them? Or to fold hands, while friends die unjustly: let men live in blind peace, until the ravisher is at the gate? What then will they do: match naked hands against iron and die in vain, or flee leaving the cries of women behind them? Will they say to Eru: At least I spilled no blood? When either way may lead to evil, of what worth is choice?
- [7] his pride and my coolness have kept our minds apart so long
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