Google+ Bolgeri - il Gruppo Tolkieniano di Milano: marzo 2008

venerdì, marzo 07, 2008

Programma di domenica

Dato l'alto numero di adesioni alla proposta, il raduno ordinario di domenica si terrà in forma straordinaria per un pomeriggio che ci vedrà infastidire la cultura in varie forme.
Si inizierà con un'operazione di disturbo presso i banchetti di libri usati in piazza Diaz, guidata dal nostro Padre Fondatore Tarabas, per poi proseguire a pranzo e spostarsi in direzione di Palazzo Reale, in piazza Duomo: qui, i bolgeri si introdurranno con l'inganno ad una mostra e si lasceranno andare a tutti i commenti che potranno scaturire dall'azione combinata tra la guida del capofamiglia e l'ispirazione del momento. Non paghi, i bolgeri si sposteranno quindi per un'azione di disturbo a carattere enogastronomico preliminare, presumibilmente in direzione di una gelateria o simili, per poi dedicarsi anima e corpo al disturbo della Nona Musa. Concluderanno con una cena.

Riassumendo il programma della spedizione:
  • ore 11.30, p.zza Diaz - visita ai banchetti del libro usato;
  • ore 15.30, p.zza Duomo - ritrovo davanti a Palazzo Reale per la mostra L'arte delle donne;
  • orario da definirsi e luogo da definirsi - film (indovinate? da definirsi);
  • al termine del film - cena.

Ricordo che chiunque si può aggregare, in qualunque momento della giornata, sia esso animale, vegetale o minerale.

Ecco, infine, una descrizione dal sito della mostra ed il video che la presenta. Generalmente sono poco incline ad apprezzare la "discriminazione a rovescio" per cui un'opera dovrebbe essere interessante a prescindere solo perché opera di una donna. Tuttavia di questa particolare mostra (percorso critico a parte) mi hanno detto ottime cose, sia per quanto riguarda l'allestimento che per quanto riguarda la selezione di opere. E se la parte critica sarà carente - cosa che mi pare possibile leggendo la presentazione qua sotto - non dubitate che il vostro capofamiglia conosce un paio di aneddoti gustosi con cui rallegrarvi la visita. Tutto quello che nessuno vi ha mai detto sulla pittura e che probabilmente non avreste nemmeno voluto sapere.

“Certo in nessun’altra età”, ebbe modo di scrivere Giorgio Vasari nelle sue Vite, “s’è ciò meglio potuto conoscere, che nella nostra; dove le donne hanno acquistato grandissime lettere”. Il percorso espositivo non poteva quindi che prendere inizio proprio dal Rinascimento, quando, in Italia e in Europa, il caso di una donna artista non rappresentava più, come nel Medioevo, un fenomeno isolato.

Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana sono alcune delle prime artista attive nel Cinquecento italiano.

Figura mitica, per aver ricevuto, vecchissima e cieca, l’omaggio di una visita di Anton van Dyck, Sofonisba Anguissola (c.1535-1625), cremonese, si specializzò, come le sue sorelle, soprattutto nel ritratto e nell’autoritratto, introducendo un tema che avrà, nelle biografie delle artiste, uno speciale rilievo e un significato preciso, destinato a divenire uno dei filoni principali della produzione femminile fino ai nostri giorni. “Dama di honore de la Reyna” di Spagna, l’Anguissola, di cui si espongono due tra le opere maggiori, (Autoritratto al cavalletto e Partita a scacchi) fu la prima donna a godere dell’appoggio dei monarchi europei.

Lavinia Fontana (1552-1614), sua quasi coetanea bolognese, divenne a sua volta ritrattista ufficiale delle famiglie nobili della città. Figlia di uno dei protagonisti del manierismo bolognese molto attivo a Roma a metà del Cinquecento, Lavinia si formò alla scuola del padre, animata da un gusto eclettico che univa ai modelli tosco-romani e parmensi i primi sentori di quello spirito nuovo che avrebbe nutrito la “riforma” dei Carracci.

Era assai frequente che le artiste fossero figlie o sorelle e mogli di artisti.
È il caso di Marietta Robusti (c.1550-1590), figlia di Tintoretto, detta la Tintoretta, presente col suo luminoso Autoritratto della Galleria degli Uffizi, che fa cenno alla sua educazione musicale, in accordo con le regole educative del tempo.

Ma è la romana Artemisia Gentileschi (1593-1654) ad avere ricoperto un ruolo fondamentale nell’affermazione della donna artista, non solo perché fu una grande pittrice, ma anche perché fu lei a ispirare, negli anni Settanta del secolo scorso, un nuovo interesse di natura femminista e sociale, su tutto il mondo femminile nelle arti. Figlia di Orazio Gentileschi, caravaggista della prima ora, subì violenza da Agostino Tassi, pittore raffinatissimo, e lo denunciò. La raccolta degli atti del processo per lo stupro subito è uno dei primi documenti di questo tipo e spiega l’oscuro fascino che, unendosi a quello della sua pittura, la trasformò in una eroina senza tempo. Continuò a dipingere scene dove il sangue gronda purpureo e lasciò alcune delle più stupefacenti immagini di Giuditta, l’eroina biblica. Giuditta, Susanna, Betsabea divengono i soggetti preferiti di Artemisia e delle artiste seicentesche, che scelsero decisamente di rappresentare donne eccezionali della storia classica e della storie biblica, femmes fortes in cui identificavano il loro stesso destino.

Elisabetta Sirani (1638-1665), figlia di un pittore allievo di Guido Reni, Giovanni Andrea Sirani, ebbe un destino assolutamente opposto a quello di Artemisia. Dedita soltanto alla sua arte, visse soli ventisette anni, lavorando indefessamente, ma morì all’improvviso, e si parlò di avvelenamento. Entrò quindi nella leggenda: era donna, era pittrice, era figlia di un pittore. La morte giovane aggiunse un’aura alla sua figura; il sospetto avvelenamento trasformò l’intera vicenda in giallo.

Nel Settecento il palcoscenico delle donne dell’arte si apre per accogliere biografie straordinarie, quali quelle dell’italiana Rosalba Carriera (1675-1757) specializzata nella raffinatissima tecnica del pastello qui rappresentata da uno splendido Autoritratto e da un Ritratto maschile, che fu attiva presso le maggiori corti d’Europa, da Parigi a Vienna e della svizzera Angelica Kauffmann (1741-1897), colta interprete di un precoce neoclassicismo ancora intriso di grazie rococò, splendidamente rappresentato nelle due opere in mostra, Erminia e l’Immortalità.

Con l’Ottocento le schiere s’infoltiscono: ecco dunque Berthe Morisot (1841-1895) cognata di Edouard Manet e protagonista dell’Impressionismo e delle sue battaglie, specializzata nella resa di temi domestici e intimi, e le americane Mary Cassatt (1845 - 1926) scoperta da Degas e da lui introdotta nell’ambiente impressionista.

Suzanne Valadon (1867-1938), madre di Maurice Utrillo, fu in intelligente equilibrio tra i due secoli, tanto da anticipare molte delle visioni fauviste o cubiste. Negli stessi anni scorse la vita tormentata di Camille Claudel, (1864-1943) maggior scultrice dell’Ottocento, la cui esistenza fu segnata dalla relazione col suo maestro Auguste Rodin. La mostra accoglie il famoso ritratto che la giovane allieva eseguì del maestro, e un bronzo raffigurante La Valse. Grande scultrice, potente artigiana, infaticabile lavoratrice, era la sola donna dell’atelier di Rodin che potesse tagliare il suo marmo - compito da uomini. Allo stesso tempo è interprete delicata e sensibilissima di una misura che declinava il modello rodiniano nella sfumatura più moderna delle curve e dei motivi decorativi: abbassò il tono stentoreo e monumentale del maestro, per scoprire la forza anche dentro una scultura di dimensioni inferiori.

Si giunge così al Novecento, attraverso l’opera elegantissima di Elisabeth Chaplin (1890-1982), artista francese di origine ma di cultura italiana, di cui si espongono due capolavori provenienti dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, alle prime avanguardie e all’inglese Vanessa Bell (1879-1961), protagonista, con la sorella Virginia Woolf, di un movimento straordinariamente vivace nell’Inghilterra tra i due secoli.

Tedesche come Gabriele Münter (1877-1962), Marianne von Werefkin (1860-1938), Paula Modersohn-Becker (1876-1907) e Käthe Kollwitz (1867-1945), presente con un nutrito gruppo di opere, vissero da protagoniste l’atmosfera cosmopolita della Germania del primo espressionismo gareggiando con le prime donne italiane lanciate nell’entusiasmo mediatico del futurismo.

Meteore fuori dal coro, Tamara de Lempicka (1902-1980) e Frida Kahlo (1907-1954) sconcertano non solo con le opere, ma anche con le loro biografie. Autrici di altissima individualità, seppero tracciare linee uniche e indipendenti tra le correnti del secolo.

Il Novecento spalanca la complessità del contemporaneo presentando voci sparse, ormai non più elencabili secondo un ordine, né di nazione, né di tendenze, come Meret Oppenheim (1913-1985), indiscussa protagonista di uno sperimentalismo sempre all’avanguardia.

Accompagna la mostra un catalogo Motta editore.


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