Fabio Porfidia, Condanna
«And sometimes as a man may cast a dainty to his cat
Sauron would send her prisoners that he had no better use for»
(J.R.R. Tolkien, The Two Towers)
Traduzione dell'articolo di
Lin Davies comparso su
Amon Hen #197. Non essendo riusciti a reperire né l'autore né il direttore
Andrew Butler, abbiamo proceduto alla pubblicazione per scopi esclusivamente divulgativi e didattici. L'autore e l'editore ne possono richiedere la rimozione in qualsiasi momento.
La traduzione è di
Nymeria.
Che i draghi non abbiano mai camminato su questa terra è una triste realtà e, cosa forse meno triste, neppure gli orchi, i balrog, i mannari e la maggior parte delle altre creature che combattono per Sauron ed i suoi alleati.
Tra quelle creature che esistono realmente o sono derivate da animali esistenti, troviamo cani con le selvagge caratteristiche dei lupi come
Carcharoth «tormentato, terribile e forte» (1), segugio del primo Oscuro Signore, Morgoth; gatti come
Tevildo, che insieme ai suoi seguaci procura la carne per la tavola di Morgoth;
olifanti, che incutono terrore grazie alle dimensioni, alla forza ed alla capacità per la distruzione di massa... ed i
ragni.
Perché i ragni? Per quale motivo Tolkien decise di attribuire la forma di ragno a due tra le sue più disgustose e malevole creature,
Ungoliant e
Shelob – per tacere dei numerosi discendenti in Nan Dungortheb e Mirkwood - ?
La risposta potrebbe in un primo momento sembrare ovvia: una fetta curiosamente ampia della popolazione è terrorizzata dai ragni, apparentemente in modo irrazionale se si considerano le loro dimensioni e, almeno nel nostro paese, la loro notevole mancanza di armamento; in tutto il mondo soltanto una piccolissima parte di ragni è effettivamente pericolosa per gli uomini, eppure basta una ricerca su internet per essere colpiti dal gran numero di siti dedicati ai ragni – molti di essi riguardanti l'aracnofobia.
In una inchiesta sui bambini in età scolare condotta dalla BBC negli anni '50, e ripetuta nel 1988, il ragno è risultato al secondo posto come animale più sgradito dopo il serpente (curiosamente il leone si è classificato terzo, il che avrebbe potuto essere preoccupante per
C.S. Lewis); sembra che siamo obbligatoriamente attratti e respinti dai ragni.
Considerando che per la maggior parte non sono pericolosi, è stato sorprendentemente difficile identificare il motivo per cui i ragni sono così odiati e temuti:
Paul Hillyard, nel suo
Book of the Spider è costretto alla conclusione, non del tutto rivelatoria, che la paura proviene da «qualità astratte come la
spideriness» (2); sono più illuminanti le risposte di un gruppo di studentesse inglesi che mostrano come il loro timore fosse rivolto ai ragni di grandi dimensioni, neri e con zampe lunghe – avevano paura anche dei rapidi movimenti dei ragni.
Questi fatti sono stati confermati dalle mie stesse ricerche, come uno scritto di mia nipote Alex: «Si muovono così in fretta che il loro movimento mi rende decisamente inquieta» (3);
Primo Levi parlava delle sue percezioni dei ragni come crudeli, brutti e pelosi, oltre al fatto che tendono agguati alle loro prede ed in generale si muovono in modo furtivo; esiste anche una teoria secondo la quale noi possediamo una sorta di memoria ancestrale sui ragni che deriva dal Medio Evo, quando la loro presenza in una casa era considerata indice di contagio, e più specificamente della peste bubbonica.
Gli anglosassoni credevano che i ragni potessero ricavare il veleno dai fiori, come le api ottengono il miele, ed il loro nome per i ragni era
attercop, cioè
testa velenosa (
poison head) – l'insulto scagliato da Bilbo contro i ragni di Mirkwood.
Tolkien non è l'unico scrittore ad aver impiegato alcuni di questi elementi terrificanti: l'amico di
Harry Potter Ron Weasley è un aracnofobo e trova particolarmente spaventose le molteplici zampe del ragno; in
Harry Potter e la stanza dei segreti c'è una scena nella Foresta Proibita che sembra derivare dalla scena dei ragni di Mirkwood nello
Hobbit: i ragni che catturano Harry e Ron sono descritti grandi come cavalli da tiro ed è apparentemente vero che coloro che temono i ragni tendono a vederli più grandi delle loro reali dimensioni, come un ingrandimento del peggior incubo si possa immaginare.
Per tornare a Tolkien è quindi più che ragionevole vedere Shelob come una enorme e grottesca incarnazione di tutte quelle caratteristiche dei ragni che provocano il ribrezzo della gente. Hillyard dice «Spesso [la fobia] non è la paura di ciò che i ragni potrebbero fare, ma semplicemente disgusto alla vista della creatura» (2); quando Shelob emerge dalle tenebre di fronte a Sam egli vede «la forma più abominevole che avesse mai veduta, più orribile del peggiore degli incubi» (4); malgrado sia sufficientemente repellente con le grandi zampe snodate e l'enorme corpo bulboso, Tolkien accresce l'orrore sottolineando il «corpo gonfio, un immenso tumido sacco straripante tra le sue gambe» (4), nero e maculato, con una parte inferiore luminescente, e maleodorante.
È significativo che la
luce fioca e fosforescente abbia spesso connotazione malvagia in Tolkien, come i fiori velenosi della Valle di Morgul; Shelob inoltre possiede la terrificante qualità dei ragni di potersi muovere «a spaventosa velocità» malgrado le sue notevoli dimensioni.
Hillyard cita la lettera di una donna che afferma «C'è un certo non so che nei ragni, sembrano consci della nostra presenza... Mi sveglio sempre con la sensazione che ci sia qualcuno o qualcosa nella stanza, ed infatti la maggior parte delle volte c'è un grosso ragno sul muro o sul soffitto sopra di me, che pare fissarmi» (2); Shelob è ancora più terribile «a causa del malvagio intento che covava nei suoi occhi senza rimorso», ed ancora prima, durante il tragitto nel tunnel, c'era stato «un senso di malvagità occulta ma così intensa che Frodo vacillò» (4).
Pare evidenziarsi quindi la percezione che i ragni possiedano una
sinistra intelligenza che permette loro di approntare una trappola e quindi di restare ad attendere che una sfortunata vittima vi cada; a questo si aggiunge il fatto che i ragni non uccidono rapidamente le loro vittime, ma si limitano ad incapacitarle per poterle consumare vive più' tardi – da qui nasce la percezione della loro crudeltà.
Tolkien conferisce sostanza a questa apparente
crudeltà: Shelob permette agli Hobbit di «correre un breve attimo in preda a un vano panico per il divertimento degli occhi» e Sauron le invia dei prigionieri «li faceva condurre sino alla tana, ed esigeva rapporti che descrivessero in che modo il mostro avesse giocherellato con le prede» (4).
Questo suo comportamento è assimilabile a quello del gatto: Tevildo, il seguace di Morgoth, ne è la causa «da qui è nato l'odio che ancora esiste tra gli Elfi per tutti i gatti» (5); infatti è risaputo che i gatti giocano, senza scopo apparente, con le loro prede.
Da tutti questi elementi si evince che sotto molti punti di vista il ragno è un soggetto ideale per una creatura del male: essi possiedono molte caratteristiche che, pur non essendo inerentemente malvagie, con un po' di esagerazione e l'attribuzione di un'intelligenza cosciente possono essere poste al servizio del male, anche perché per molti sono la materia dei propri incubi.
Anche i
gatti possono possedere alcune abitudini che, una volta antropomorfizzate, si possono considerare riprovevoli, ma essi godono del grande vantaggio di essere graziosi, pelosi ed estremamente perdonabili; anche Tevildo, ancorché descritto come «color del carbone e di aspetto malvagio» (5), fa le fusa in modo disarmante.
Ad ogni modo si potrebbe controbattere che i ragni vanno ben oltre queste descrizioni e che Shelob e la sua progenitrice Ungoliant hanno ricevuto forma di ragno per poter assegnare loro ruoli specifici all'interno della creazione di Tolkien; in un articolo su
Mallorn, che si occupa di temi a carattere femminista nel
Signore degli Anelli,
David Pretorius afferma che Shelob è «una figura femminile diabolica... un simbolo del disprezzo maschile per la creatività della donna» e che «l'uccisione della prole si può interpretare come il fallimento della creatività femminile, con la distruzione della letteratura da parte delle donne». Aggiunge inoltre che «essa [...] è il simbolo del terrificante potere della donna» (6), probabilmente suggerendo che essa è l'opposto di Galadriel, che non è solo una Noldo con un retaggio di creatività, ma è anche capace di resistere alla tentazione del potere che l'avrebbe trasformata – se lo avesse conquistato – in una forza distruttrice.
Anche se le ipotesi sull'attitudine inconscia di Tolkien nei confronti della creatività femminile devono restare tali, credo che esistano altri aspetti molto più rilevanti dei ragni che potrebbero aver influenzato Tolkien - grazie alla sua profonda e professionale conoscenza di mito e tradizione - mentre conferiva sostanza ad Ungoliant e più tardi a Shelob.
Nelle
Due Torri Shelob è descritta come «ultima figlia di Ungoliant nel tormentare il mondo infelice» (4), ed Ungoliant è stata la prima creatura con forma di ragno ideata da Tolkien; nel
Silmarillion essa è descritta come un essere che «assunse la forma di un mostruoso ragno» (7), una forza malefica così potente che Morgoth non è in grado di sconfiggerla né di distruggerla quando non ha più bisogno di lei.
Essa è una creatura dotata di fame insaziabile: sempre affamata, divora la luce e la tesse in «oscure ragnatele di buio soffocante» (7); è così che Morgoth, consumato dall'odio e dall'invidia per la bellezza di Valinor, si allea con Ungoliant per distruggerli – trafigge Laurelin e Telperion, i due alberi di Valinor che sono la fonte di ogni luce, ed Ungoliant ne risucchia la linfa, avvelenandoli.
Ancora assetata, prosciuga le Fonti di Varda e rigetta nebbie oscure, mentre cresce a dismisura: «L'oscurità appariva non come una mancanza, bensì una cosa dotata di esistenza propria, perché era generata con malvagità dalla Luce stessa ed aveva il potere di trafiggere gli occhi e di penetrare il cuore e la mente e soffocare persino la volontà» (7) - molto simile agli effetti paralizzanti della puntura di un ragno sulla vittima.
Nella mitologia religiosa è diffusa l'immagine della
mostruosa madre-ragno, la Grande Madre come divoratrice; nei
miti Indù essa si trova al centro del mondo e, tessendo le sue tele e divorando le sue prede, simboleggia la luna crescente e calante, l'alternanza di nascita e morte.
Nella simbologia cristiana, il ragno rappresenta il
Demonio, che attira i peccatori nelle sue macchinose trame;
Primo Levi disse che «il ragno è la madre-nemica che avviluppa e circonda, che desidera ... sottometterci ancora al suo volere; e ci sono coloro che ricordano come in quasi tutte le lingue il nome del ragno sia di genere femminile» (8).
Per questo motivo il ragno è una scelta naturale per questo essere malvagio di Tolkien che, divorando bellezza e luce, distrugge l'innocenza e la perfezione di Valinor e funge da catalizzatore per la caduta dei Priminati – gli Elfi; le ragnatele di oscurità tessute da Ungoliant le permettono di fuggire con Morgoth dalla scena del crimine, con i Noldor che narrano di «un'Oscurità cieca» che si muove verso Nord e «al cui centro avanzava un potere senza nome, e l'Oscurità scaturiva da esso» (9).
Da questa grande creatura-madre divoratrice hanno avuto origine i ragni di Nan Dungortheb e Shelob - poiché Shelob è figlia di colei che distrusse la Luce di Valinor, la luce di Eärendil nella Fiala di Galadriel non ha completo potere su di lei, anche se riesce ad arrestarla e conferisce indispensabile coraggio agli hobbit; in un primo tempo i suoi occhi sfaccettati rifrangono la luce della fiala e «dietro [di essi] incominciò ad ardere una pallida incandescenza micidiale, una fiamma avvampata nel più profondo abisso di un pensiero malefico» (4). Solo quando il coraggio di Frodo divampa ed egli avanza con Pungolo, Shelob comincia a dubitare e si ritrae dalla luce «cieca forse per un attimo, ma invitta ed avida di morte» (4); Frodo, con la sua consapevolezza della storia, conosce il valore della sua spada elfica Pungolo, forgiata nel Beleriand dove si trovavano «ragnatele d'orrore nelle scure gole»(4); Pungolo infatti era stata forgiata dagli Elfi che già combattevano malvagie creature ed è in grado – come Frodo aveva intuito – di tagliare la tela di Shelob.
Ma è soltanto nel momento in cui uno degli occhi di Shelob viene colpito che la Fiala riesce a sconfiggerla: «I raggi le trafiggevano la testa ferita lacerandola con intollerabile dolore, mentre la spaventosa infezione di luce dilagava da un occhio all'altro» (10).
La forma fisica del ragno, con i suoi occhi sfaccettati, è importante per la trama quanto lo è il fatto che i ragni paralizzano le proprie vittime prima di ucciderle: questa abitudine sembra sostenere la percezione che i ragni possiedano una intelligenza malvagia e che osservino le loro vittime mentre sono in agguato – Frodo e Sam percepiscono una presenza appostata nel tunnel molto prima di sapere di cosa si tratta.
David Pretorius vede il
tunnel come un
luogo soffocante, simile all'utero femminile, in cui i due maschi Hobbit temono di entrare, ma può essere anche percepito come un luogo dove l'oscurità diventa qualcosa di più che la semplice mancanza di luce: «Sembrava di camminare in un vapore nero plasmato nell'oscurità stessa, e alla cecità degli occhi si aggiungeva a ogni respiro una più densa nebbia della mente» (4).
Sia con Shelob che con Ungoliant esiste quasi una sinergia tra le ombre, il buio e le ragnatele, così che non è più possibile distinguere tra la tela che paralizza il corpo e l'oscurità che paralizza la mente – entrambe contribuiscono alla distruzione della luce, della bellezza, ed indirettamente del bene.
Morgoth non è stato in grado di sfuggire ad Ungoliant perché «la nube lo avvolgeva ancora e gli occhi di lei lo osservavano» (9); Shelob riesce a paralizzare gli Hobbit con il potere del suo sguardo prima ancora di aver usato il veleno del suo rostro.
Così, mentre il tunnel è senz'altro maleodorante, fetido e rancido a causa dell'attività della sua abitatrice, è in modo più rilevante un luogo di
oscurità paralizzante in cui si svolge un conflitto i cui contendenti sono ben altri che hobbit ed un gigantesco ragno: è l'eterno conflitto tra antichi poteri, tra Luce ed Ombra, tra il potere di Eärendil, Speranza di Elfi e Uomini, e l'antico male in forma di ragno - «discesa dall'oscurità che circonda Arda» (7) (come lo era Ungoliant).
Così, a partire da Ungoliant, il ragno ha fornito a Tolkien un ideale di creatura malvagia, una sembianza per cui molti provano disgusto ed una tradizione di femmina divoratrice che tesse le sue tele per catturare prede inermi, destinate ad una lenta, orribile morte.
Aggiungete a ciò l'apparente
vigile intelligenza del ragno e diverrà chiaro che la sozza progenie di Ungoliant si sarebbe inserita perfettamente nella trama nel corso del suo sviluppo: curiosamente, la prima idea di Tolkien fu quella di far cadere gli Hobbit in un agguato teso da una frotta di ragni – come per Bilbo ed i Nani a Mirkwood; questo scenario presentava evidentemente troppo difficoltà e quindi Shelob emerse come personaggio individuale, grottesco, crudele e memorabile.
Prima di concludere, da persona affezionata alle grosse e pelose tarantole, mi sembra giusto sottolineare che il panorama per i ragni non è totalmente negativo: in molte culture è considerato di cattivo auspicio ucciderli, ed alcuni, come i
Money Spiders sono considerati portatori di
fortuna; inoltre, in una strana immagine speculare della disavventura degli Hobbit, esistono racconti popolari in cui l'eroe sfugge all'inseguimento grazie ad una tela di ragno posta all'ingresso del suo nascondiglio, che fa presumere agli inseguitori che egli non possa trovarsi all'interno.
E naturalmente tutti noi sappiamo di
Robert the Bruce... (**)
Una conclusione, che potrebbe derivare dal fatto che Shelob è nominata individualmente e non come parte di una moltitudine, viene dal modo curioso con cui Tolkien riesce ad evocare sentimenti di
compassione nei suoi confronti quando, ferita, si trascina all'interno della sua tana «E Shelob, infine domata, sconfitta, fremeva e tremava cercando di sfuggirgli» (10); questa frase sembra densa di significato, impregnata com'è da un senso di completa sconfitta ed anche di patetica ansietà quando Shelob, un tempo mortalmente veloce, si ritrae goffamente – per non parlare di quando più tardi Sam la ode mentre brancola sottoterra in «viscida disperazione» (10).
Quanto più è stata potente e priva di rimorso, tanto più la sua sconfitta appare, contro ogni ragione, degna di pietà; ciò potrebbe dipendere dal fatto che l'impostazione morale dell'opera di Tolkien impedisce ai cosiddetti "buoni" di godere della propria vittoria o di approfittare degli sconfitti: le azioni dei "buoni" sono dettate dalla compassione – dopo tutto è la misericordia di Bilbo, che in seguito Frodo farà sua, a salvare la Terra di Mezzo dal male incarnatosi in creature come Shelob.
Note:(1) J.R.R. Tolkien,
Il Silmarillion (capitolo "Beren e Luthien")
(2) P. Hillyard,
The Book of the Spider. Hutchinson, 1994
(3) Alex Segrove, via e-mail
(4) J.R.R. Tolkien,
Il Signore degli Anelli (capitolo "La Tana di Shelob")
(5) J.R.R. Tolkien,
Racconti ritrovati(6) D. Pretorius, "Binary Issues and Feminist Issues in
The Lord of the Rings", in
Mallorn 40 (Tolkien Society, nov. 2002)
(7) J.R.R. Tolkien,
Il Silmarillion (capitolo "L'oscuramento di Valinor")
(8) citato in
The Book of the Spider (rif 2)
(9) J.R.R. Tolkien,
Il Silmarillion (capitolo "La fuga dei Noldor")
(10) J.R.R. Tolkien,
Il Signore degli Anelli (capitolo "Messer Samvise e le sue decisioni")
(**) Re scozzese che, nascosto in una caverna per sfuggire alla cattura, trascorse lunghi mesi osservando un ragno che tesseva pazientemente la sua tela, ricominciando da capo quando non ci riusciva; da questo comprese che non avrebbe dovuto perdersi d'animo.
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