Le città nella Terra di Mezzo
La presente lettura critica, di Maddalena Tarallo e Alberto Ladavas, faceva da introduzione all'esposizione di illustrazioni sulle città, gli insediamenti e gli ambienti della Terra di Mezzo. Sto ancora lavorando al catalogo, per integrarlo anche con saggi ed atti di altri studiosi intervenuti durante la manifestazione: per ora, mi limito quindi a pubblicare l'articolo, che sarà presto seguito dalla versione elettronica del capitolo sulla Contea.
La Terra di Mezzo non è un semplice sfondo sul quale si dipanano le vicende narrate nel Signore degli Anelli, nello Hobbit e nel Silmarillion, ma è un mondo vivo e vitale, pensato, costruito e articolato sin nei più minimi dettagli: ognuno dei popoli rappresentati possiede la propria identità linguistica e culturale, evidente anche nelle diverse strutture abitative che si incontrano all'interno dell'opera di Tolkien.
Poiché gli Hobbit sono i protagonisti indiscussi dei due lavori più conosciuti del Professore di Oxford, sembra corretto iniziare esaminando la struttura delle città della Contea e della Terra di Buck.
Non c'è dubbio che, in questo caso, Tolkien abbia preso ispirazione dalla campagna inglese: infatti, qui la natura appare predominante rispetto alle strutture abitative, per la massima parte costituite da veri e propri tunnel scavati nel fianco delle colline e che prevedono ramificazioni più o meno estese, a volte sino a costituire (come nel caso di Brandy Hall, la residenza dei Brandybuck) degli agglomerati densamente abitati che crescono e si sviluppano secondo le necessità di una crescente popolazione e che riportano alla mente le colonie di alcuni tipi di insetti. In questo caso specifico, l'analogia troverebbe conferma nella capacità degli Hobbit di agire in perfetta sintonia quando si trovano a dover fronteggiare un pericolo comune e, allo stesso tempo, presenta un interessante collegamento tra la ramificazione dei tunnel e la grande propensione tipicamente hobbit di stilare minuziosi alberi genealogici.
Se nella Contea predominano gli spazi aperti e la natura, quest'ultima non si presenta nel suo aspetto più selvaggio ma è in qualche modo “asservita” agli abitanti: la descrizione che Tolkien ci fornisce dell'ambiente è infatti quella di «una campagna scrupolosamente ordinata e curata», un tema che ritorna anche quando ci viene mostrato l'antico contenzioso tra Ent ed Entesse: i primi difensori della natura “selvaggia” ed incontaminata, le seconde promotrici di giardini e orti accuratamente coltivati.
L'ambiente di stampo rurale in cui vivono gli Hobbit è ulteriormente confermato dall'assenza di attività industriali pesanti: infatti, gli Hobbit non dediti all'agricoltura prediligono l'artigianato (fabbri, tessitori, mugnai) e, in questi casi, sentono la necessità di strutture più tradizionali in pietra e/o legno che comunque non tendono a un eccessivo sviluppo in verticale, forse a dimostrazione del forte legame con la terra che si traduce caratterialmente in uno spiccato buonsenso e una forte tendenza al conformismo.
Un connotato comune sia alle abitazioni-tunnel sia alle case di stampo convenzionale è costituito da porte e finestre di forma tonda, forse un indice dell'amore per le comodità che ben si attaglia sia alla forma fisica degli Hobbit sia al loro temperamento.
Di stampo più prettamente medievale è l'insediamento di Brea che, nella sua qualità di crocevia e passaggio obbligato, si differenzia dalla Contea innanzitutto per la convivenza tra Uomini e Hobbit, dando origine a un crogiolo che strutturalmente si traduce in una commistione di costruzioni a più piani e di tipici tunnel hobbit.
Questa convivenza di stili diversi si accompagna alla coesistenza tra diverse culture e trova la sua massima espressione nella locanda del Puledro Impennato che, nel suo ruolo di punto di raccolta per locali e viandanti, incarna questa diversità nel suo stile architettonico misto: nella locanda è possibile incontrare Uomini, Hobbit e Nani che vi trovano un ambiente familiare e, allo stesso tempo, vengono a contatto con realtà diverse; il rovescio della medaglia di una simile situazione è rappresentato dalla necessità, completamente sconosciuta nella Contea, almeno sino all'arrivo di Saruman e dei suoi complici, di proteggere gli accessi al villaggio con cancelli controllati da guardie che alla notte restano chiusi.
Precauzione peraltro inutile perché le vicende dimostrano come la corruzione si possa insinuare facilmente anche in un ambiente dotato di protezioni strutturali.
La cultura dei Rohirrim, i signori dei cavalli per i quali Tolkien ha preso ispirazione dagli Anglosassoni, presenta degli spunti interessanti: Rohan è a tutti gli effetti un regno di frontiera, che si pone come confine tra la più cosmopolita Gondor e il resto del mondo “selvaggio”. Negli stessi Rohirrim convivono elementi di un passato nomade e di un presente più stanziale, ma ancora inserito in un contesto non civilizzato, su cui predomina il costante richiamo alla simbiosi tra uomo e cavallo, che in queste vaste praterie assume un significato di importanza vitale.
Il palazzo in cui risiede re Théoden è una rappresentazione di splendore barbarico e ricorda molto da vicino quello di re Hrotgar del Beowulf, da cui questa parte dell'opera trae ampiamente ispirazione: il legame con il passato è evidente negli arazzi e negli intagli delle colonne, forma primitiva di documentazione storica tipica di un popolo in cui la cultura orale ha ancora il predominio su quella scritta. L'insediamento di Edoras è costituito da un'alternanza di elementi naturali, come la pietra e i prati che richiamano le ampie pianure circostanti, creando un senso di isolamento accentuato dalla disposizione del villaggio sulle pendici di una collina ai cui piedi si trovano un fossato, delle mura e un recinto, a dimostrazione della condizione pionieristica degli insediamenti rohirrim e che ritroviamo, ancora più marcata, nelle fortificazioni al Fosso di Helm, ultimo baluardo contro le ricorrenti invasioni.
La sala di stile germanico, così come la casa di Beorn, è costituita da un ambiente ampio, totalmente costruito in legno e dominato al centro dal focolare: esso fornisce la principale fonte di illuminazione, poiché questo genere di struttura non prevede delle finestre vere e proprie e la luce del sole e il ricambio d'aria provengono solamente da un'apertura nel tetto. La sala possiede una sorta di navata centrale affiancata da due navate laterali separate da file parallele di pilastri, sempre in legno: adiacenti alle pareti delle navate si trovano dei rialzi che svolgono la duplice funzione di sedili durante il giorno e di giacigli per la notte, anche se, nel caso della dimora di Beorn, Bilbo e i Nani dormono in letti convenzionali in una stanza a parte. Questa casa si differenzia dal modello cui Tolkien si ispirò anche per la veranda esterna, rivolta a sud, che si affaccia su un giardino i cui fiori servono da nutrimento alle api allevate dall'uomo-orso.
La caratteristica principale della città di Gondor è senza dubbio l'imponenza: lo dimostrano gli elementi stilistici interni ed esterni e lo stesso Tolkien lo sottolinea scrivendo che non sembra creata della mano dell'uomo, bensì l'opera di giganti che hanno scolpito «l'ossatura del mondo».
Data la sua natura di roccaforte contro l'avanzata di Mordor che si trova proprio di fronte ad essa, la struttura di Gondor è improntata alle opere difensive: sette cerchi concentrici di mura che abbracciano i fianchi del monte Mindolluin su cui la città si appoggia, un sistema di porte di comunicazione tra le diverse sezioni della città creato per ottimizzare le difese in caso di attacco e le mura che circondano la pianura del Pelennor, dove si concentrano le attività rurali. Gondor appare quindi chiusa in sé stessa e allo stesso tempo fortemente aggrappata ai fasti del passato, come testimoniato anche dalla forma della Cittadella che sporge dal fianco della montagna come la prua delle navi degli antichi Númenoreani, da cui gli abitanti di Gondor discendono. Ma questo passato è ormai lontano: la freddezza della pietra e la grandiosità degli elementi architettonici non riescono a nascondere la decadenza visibile nel pessimo stato delle mura del Pelennor e nella condizione di abbandono in cui versano molte abitazioni, a testimonianza di un declino già evidente nel regresso demografico e ben presente nel discorso di Faramir che inquadra i concittadini come "Uomini del Crepuscolo". Lo splendore che, per contro, si può osservare nei monumenti funerari tanto cari ai Númenoreani non fa altro che aumentare la sensazione di inevitabile declino che pesa sulla città.
Al contrario, Lothlórien viene descritta dallo stesso Kocher come "verticale" perché è «totalmente elfica» e «gli stranieri non vi sono benvenuti»: gli abitanti di Lórien vivono sugli alberi di mallorn in piattaforme chiamate “flet” e, anziché adattare il proprio stile abitativo alla natura circostante, hanno trasformato la natura stessa in struttura residenziale. Le mura che circondano la città di Caras Galadhon sono verdi e suggeriscono un'origine vegetale piuttosto che una costruzione in pietra e dovunque i viaggiatori posino lo sguardo si intravedono solo erba, alberi e fiori: nessun particolare suggerisce l'artificialità dei materiali, tutto è strettamente naturale.
Dalla base della collina alla sommità del mallorn più alto, dove risiedono Celeborn e Galadriel, la strada segue un percorso a spirale il cui movimento concentrico trae ispirazione dallo scopo principale di Lórien: preservare per sempre un luogo e un tempo ormai scomparsi dal resto della Terra di Mezzo.
La disposizione nel sottosuolo viene compensata dalla vastità degli ambienti, sostenuti da colonne riccamente intarsiate e decorate con oro e pietre preziose ricavati dalle stesse viscere della terra.
Vale la pena ricordare come le città elfiche di Menegroth (regno di Thingol e Melian) e di Nargothrond (regno di Finrod Felagund) siano state costruite proprio con l'aiuto dei Nani in vasti sistemi di caverne, impreziosite da squisiti lavori di scultura e di intaglio, per offrire un’adeguata protezione contro gli attacchi nemici e, allo stesso tempo, fornire un'accogliente dimora agli elfi che vi abitavano. Sempre in tema di città elfiche fortificate occorre ricordare la città nascosta di Gondolin, fondata da Turgon nell’inaccessibile valle di Tumladen per sfuggire alle aggressioni di Melkor.
Tutti e tre questi insediamenti sono rimasti a lungo nascosti agli occhi del nemico, protetti dal potere degli Elfi o dalla propria collocazione particolare, ma alla fine sono stati tutti espugnati e distrutti.
Le roccaforti del Nemico sono accomunate dalla mancanza di luce e bellezza. Ad esempio, l'ingresso fortificato da cui si entra in Mordor (il Cancello Nero) è costituito da un cancello di ferro incastonato nelle rocce scure e minacciose delle catene montuose circostanti, e l'aspetto più terribile di questo “biglietto da visita” di Mordor è la desolazione in cui la struttura si inserisce: un luogo in cui la vita è stata permanentemente avvelenata e soffocata, dove fuoco, fumo e vapori velenosi la fanno da padroni e dove persino la luce del sole si fa strada “con riluttanza”. In questa parte del territorio si alternano torri di guardia e tunnel in cui si annidano e si moltiplicano, come formiche, i servitori di Sauron.
Minas Morgul rappresenta la degenerazione e lo stravolgimento di tutto ciò che un tempo era bello: le costruzioni e il paesaggio che la circondano conservano ancora il ricordo dello splendore di un tempo, quando la città si chiamava Minas Ithil (Torre della Luna) ed era la capitale del regno di Condor; tuttavia, ora tutto è dominato dall'alternarsi di ombre e di luce spettrale «che non illumina nulla» e persino fiori appaiono come «forme demenziali in un incubo»; le aperture nelle mura non sono altro che finestre spalancate sull'oscurità e le sculture ai lati del ponte che conduce all'ingresso ispirano soltanto disgusto e repulsione.La caratteristica predominante di Mordor è data dai colori prettamente infernali, il nero dell'oscurità e il rosso delle fiamme: la vasta pianura “tormentata” dominata da Monte Fato è costellata da fortificazioni sia naturali sia costruite a quello scopo e che, come commenta mentalmente Sam, non appaiono tanto necessarie per impedire l'ingresso ai nemici quanto per «trattenere all'interno gli abitanti», in una sorta di prigione materiale e spirituale; Tolkien la definisce una «terra morente ma non ancora morta» in cui quel poco che cresce ha un aspetto innaturale o prematuramente rinsecchito e tormentato da sciami di insetti.
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