Google+ Bolgeri - il Gruppo Tolkieniano di Milano: "Barbalbero": il personaggio

martedì, ottobre 10, 2006

"Barbalbero": il personaggio

Il seguente articolo fa parte della lettura critica del capitolo "Barbalbero" presentato in anteprima a Edoras 2006. Indice: il capitolo, il personaggio, indice delle specie vegetali citate e loro ricorrenza nel Signore degli Anelli, analisi delle specie vegetali citate, consigli di lettura.

Barbalbero
è senza dubbio uno dei personaggi più curiosi che si incontrano nel Signore degli Anelli ed altrettanto curiosa è la sua genesi, almeno stando alle notizie che lo stesso Tolkien ci fornisce nelle sue Lettere, particolarmente la n. 163 nella quale a proposito degli Ent afferma: “Non li ho inventati intenzionalmente. Il capitolo […] è stato scritto […] come se stessi trascrivendo il lavoro di qualcun altro”.
Che Tolkien si riferisse ad una ispirazione “dall’alto” pare inequivocabile, specialmente tenendo presente la sua profonda fede religiosa, ma si potrebbe anche pensare alla voce dell'inconscio: in effetti nel carattere di Barbalbero ci sono molte caratteristiche riconducibili a Tolkien come persona e facilmente individuabili, per esempio, nel misto di umorismo e tristezza che gli era proprio; il primo è da subito apparente nel momento in cui, replicando alla frase di Pipino sulla foresta di Fangorn “Ho quasi avuto l'impressione che mi piacesse”, Barbalbero si rivela agli Hobbit dicendo “Ho quasi l'impressione che [i vostri visi] non mi piacciano, ma non voglio essere frettoloso” – in questo modo, oltre alla vena umoristica, egli dimostra immediatamente la sua non–ostilità, rimuovendo ogni dubbio sulla sua collocazione nel contesto narrativo.
La tristezza è altrettanto evidente nelle malinconiche reminiscenze di tempi migliori (ed irreparabilmente perduti) in cui le foreste si estendevano a perdita d'occhio ed egli poteva trascorrere anche un’intera settimana “semplicemente respirando” – e le perdute Entesse ancora condividevano le stesse terre; il canto che narra la storia del progressivo estraniamento di Ent ed Entesse è uno dei più struggenti tra quelli presenti nel Signore degli Anelli ed esemplifica, come affermato da Tolkien stesso nella lettera citata, “la differenza tra l'atteggiamento maschile e quello femminile nei confronti delle cose selvagge, la differenza tra amore non possessivo e giardinaggio”.
Questa differenza ha fatto sì che le due componenti si allontanassero progressivamente, senza mai trovare la volontà di fare il primo passo verso l’altro, al punto da perdersi per sempre andando incontro all’estinzione: la conclusione del canto auspica che si potranno ritrovare quando “entrambi avranno perduto tutto” – quasi una metafora della morte, che non esclude però la speranza che Ent ed Entesse possano ricongiungersi almeno in un altro piano esistenziale, dove “i loro cuori potranno trovare riposo”.
Il ruolo di Barbalbero nella Terra di Mezzo va ben oltre la custodia delle sue “greggi” di alberi, per ricoprire quello ben più importante di memoria storica: quando egli dice agli Hobbit che il suo nome “cresce costantemente […] è come una storia” mostra come la natura non sia statica bensì in continua evoluzione – nei tronchi degli alberi noi possiamo vedere, attraverso i cerchi concentrici che rappresentano i diversi stadi della loro vita, la storia non solo del singolo albero ma anche della foresta cui appartiene, con i periodi di siccità, di pioggia o di gelo; questa rivelazione rende ancora più tragica la fine degli Ent che Tolkien prospetta – e sulla quale non dimostra un grande ottimismo – perché quando essi saranno scomparsi tutte le ‘storie’ che rappresentano scompariranno con loro, dato che non ci sarà più nessuno in grado di ricordarle.
Un altro insegnamento che può giungerci da questo personaggio è la capacità di assaporare con calma l’esistenza, saper adottare il giusto ritmo che ci permetta di apprezzare ciò che ci sta intorno (solo respirando, appunto): l’interazione con i due ‘frettolosi’ Hobbit permette di rivelare l’altra importante componente della natura di Barbalbero, e cioé la sua profonda saggezza, rilevabile in modo particolare dallo sguardo sul quale Tolkien si sofferma più volte – come osserva Pipino “sembrava vi fosse dietro le pupille un enorme pozzo, pieno di secoli di ricordi e di lunghe, lente, costanti meditazioni; ma in superficie sfavillava il presente, come sole scintillante sulle foglie esterne di un immenso albero, o sulle creste delle onde di un profondo lago”. Gli occhi come specchio dell'anima, quindi, e la dimostrazione che anche una creatura apparentemente ‘immobile’ come un albero ne possiede una: dopo aver conosciuto ed apprezzato il vecchio Ent anche noi, come certo Tolkien si augurava, non saremo più in grado di guardare un albero con gli stessi occhi.

Articolo di Maddalena "Nymeria" Tarallo

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