George MacDonald e J.R.R. Tolkien: consigli per la lettura
Che Tolkien conoscesse le opere di MacDonald è fuor di dubbio, e che esse siano state importanti nella sua formazione ci viene detto proprio da C.S. Lewis che, in una lettera ad Arthur Greeves, scriveva: «Da quando è cominciato il trimestre, ho passato il tempo a leggere una storia per bambini scritta da Tolkien. Ti ho già parlato di lui: l'unico uomo assolutamente adatto, se il destino l'avesse concesso, a essere il terzo nella nostra amicizia dei vecchi tempi, perché anche lui è cresciuto in compagnia delle opere di William Morris e George MacDonald.» (C.S. Lewis ad Arthur Greeves, 4 febbraio 1933, in Memoires of the Lewis Family come citato da Michael White in Vita di J.R.R. Tolkien, Bompiani, Milano 2002). Fu invece Tolkien stesso a chiarire quanto egli apprezzasse l’opera di MacDonald, definendolo «una vecchia nonna che pregava anziché scrivere». Tolkien, si sa, sapeva essere molto estremo nelle sue prese di posizione, soprattutto quando tendeva ad estremizzarle temendo che l'accostamento ad altri scrittori (in questo caso il vittoriano, moralista e allegorico MacDonald) potesse portare lettori e critici a travisare la sua opera vedendola come un'allegoria. Questo percorso di lettura si schiera però parzialmente dalla parte di C.S. Lewis che, nella sua recensione dello Hobbit, individuò alcune delle influenze dell'autore scozzese sul legendarium tolkieniano.
- Phantastes: A Faerie Romance for Men and Women (1858), pubblicato originariamente in Italia con il titolo di Anodos e poi noto come Le fate dell'ombra. Il romanzo, fortemente ispirato al romanticismo tedesco, narra le avventure di Anodos che viene proiettato in un mondo onirico popolato da folletti, gnomi e fate, dove si mette alla ricerca del proprio ideale di bellezza femminile, la Signora di Marmo. L'opera è nominata da Tolkien in una sua lettera del 26 ottobre 1958 a L.M. Cutts nella quale, riguardo agli Ent, scrive che essi potrebbero essere interpretati come «la forma “mitologica” di un amore per gli alberi che ho da tutta la vita, forse con qualche remota influenza dal Phantastes di George MacDonald (un'opera che non amo particolarmente [in cui gli alberi assumono forma umana])».
- “The Giant's Heart”, è un racconto incluso in Adela Cathcart (1864) insieme a “The Light Princess”, “The Shadows”, “My Uncle Peter” e “A Journey Rejourneyed”, oltre ad altre storie brevi. Tolkien nomina questo racconto esplicitamente nel suo saggio “Sulle fiabe” (pubblicato in Albero e Foglia) in relazione al tema del folklore tradizionale secondo il quale «la vita o la forza di un uomo o una creatura possa trovarsi in un altro posto o risiedere in un altro oggetto, o in una specifica parte del corpo (specialmente il cuore) che possa essere staccata e nascosta in una borsa, o sotto una roccia, o in un uovo». Il tema, come Tolkien stesso esplicita, non è originale di MacDonald, ma è comunque un tema che avvicina l'autore scozzese ad uno dei temi portanti del Signore degli Anelli: l'idea che la forza e lo spirito di Sauron possano trovarsi in un oggetto dalla cui distruzione dipende la sopravvivenza o la sconfitta dell'Oscuro Signore.
- The Golden Key, originariamente inclusa in Dealing with the Faeries (1867) è la storia di un ragazzo che viaggia fino ad un reame fatato al termine dell'arcobaleno alla ricerca di una magica chiave d'oro e che, una volta trovata, si mette alla ricerca della sua serratura. L'opera è citata da Tolkien nel suo saggio “Sulle fiabe”, sia nella versione per la conferenza dell'8 marzo 1939 sia nella revisione in forma saggio scritta quattro anni dopo, in relazione a come le storie possano essere fonte di mistero: «questo è almeno ciò che George MacDonald si sforzò di fare, scrivendo storie di potere e di bellezza con le quali raggiunse il successo, come in The Golden Key (che egli definì fiaba)».
Probabilmente in seguito a questo giudizio, nel gennaio del 1965 un editore americano chiese a Tolkien di scrivere una prefazione per una nuova edizione illustrata del libro. Tolkien, così come riferito da Humphrey Carpenter nella sua biografia, trovò la storia «mal scritta, incoerente e brutta tranne che in pochi passaggi memorabili», per cui abbandonò molto presto la stesura della prefazione in favore di una fiaba che aveva iniziato a scrivere come esempio e che invece assunse vita propria. Si trattava di Fabbro di Wootton Major, che vedrà poi la pubblicazione nel 1967.
In The Golden Key, inoltre, compare un passaggio che alcuni autori hanno considerato fondamentale per l'idea che Tolkien aveva della morte, soprattutto della “buona morte” come continuazione della vita e, da un punto di vista eminentemente letterario, per l’idea che la vita dell'eroe non possa continuare felice com'era quando l'ha abbandonata per imbarcarsi nelle proprie avventure. - At the Back of the North Wind (1871), pubblicato in Italia da Auralia con il titolo Sulle ali del vento del nord, comparve per la prima volta nella rivista “Good Words for the Young” a partire dal 1868 e narra la storia dell'amicizia tra un bambino chiamato Diamante e il Vento del Nord. Secondo George Burke Johnson, Tolkien sarebbe stato ispirato dalla poesia che compare nel capitolo 24 per la sua “The man in the Moon came down too soon”, inclusa nel capitolo 9 della Compagnia dell'Anello e originariamente pubblicata nel novembre 1923 sulla rivista “Yorkshire Poetry” come “The Cat and the Fiddle: a Nursery-Rhyme Undone and Its Scandalous Secret Unlocked”.
- Little Daylight (1871) originariamente pubblicata in appendice a At the Back of the North Wind, è una fiaba fortemente ricalcata dalla Bella addormentata in cui un re e una regina invitano al battesimo della loro neonata figlia, Daylight, tutte le fate tranne una, considerata una strega, che lancia sulla bambina una maledizione: dormirà ogni giorno sotto i raggi del sole e si sveglierà solo la notte. Secondo alcuni, il momento in cui il principe destinato a spezzare l’incantesimo vede Daylight danzare al chiaro di luna sarebbe stato d’ispirazione a Tolkien per l’analogo passo riferito a Beren e Lúthien nel Silmarillion.
- The Princess and the Goblin (1872) è forse l'opera più nota di George MacDonald in relazione a J.R.R. Tolkien, e l'unica rispetto alla quale Tolkien ebbe ad ammettere esplicitamente un'influenza. Narra la storia della piccola principessa Irene e delle sue avventure con il bambino minatore Curdie attraverso il reame dei goblin. In una lettera a Naomi Mitchinson del 25 aprile 1954, Tolkien scrisse che gli orchi «non sono basati su nessuna mia personale esperienza ma devono molto, immagino, alle tradizioni riguardo ai goblin, [...] specialmente a quelli che compaiono nella Principessa e i Goblin di George MacDonald (fatto salvo per quella storia dei piedi soffici, cui non ho mai creduto)». Il passo è citato sia da Hammond e Scull nel loro Lord of the Rings Companion, sia da Douglas A. Anderson nello Hobbit annotato che, oltre a rilevare le somiglianze così come dichiarate da Tolkien, individua anche una sostanziale differenza: laddove i goblin di MacDonald fuggono al suono della poesia, quelli di Tolkien nello Hobbit non si astengono dal cantare o, piuttosto, dal gracidare (come specifica lo stesso Tolkien) quella che è innegabilmente una poesia. Tuttavia, sia la poesia cantata da Curdie sia quella intonata dai goblin di Tolkien hanno delle altrettanto innegabili somiglianze metriche e stilistiche.
- The Day Boy and Night Girl (1882) meglio noto anche come The Romance of Photogen and Nycteris, narra la storia della strega Watho che, nella sua ricerca della conoscenza assoluta, invita due donne a partorire nel suo castello e fa quindi crescere il bambino in stanze piene di luce mentre la bambina nell'oscurità delle segrete per osservare le conseguenze dei diversi ambienti sul loro carattere. Tolkien nomina di sfuggita questo romanzo in un paragrafo degli appunti per la sua conferenza “Sulle fiabe”, in particolare nel paragrafo dedicato al tono paternalistico che George MacDonald avrebbe adottato in alcune delle sue opere. Il romanzo, sbrigativamente indicato come Photogen & Nycteus (sic) viene indicato come caratterizzato da un tono e da un argomento affatto per bambini, al contrario della seconda parte di La Principessa e Curdie.
- The Princess and Curdie (1883), seguito della Principessa e i Goblin, narra nuove avventure della principessa in compagnia del suo amico minatore, mentre si avviano in un lungo viaggio per spodestare i ministri che stanno avvelenando il re, padre di Irene. Il primo capitolo del romanzo è intitolato “La montagna” e, secondo Anderson, Tolkien gli deve molto, in similitudine e antitesi, per l'idea di come sia fatto l'interno di una montagna. In relazione alla descrizione che viene data della caverna di Gollum, è riportato questo passo dal romanzo di MacDonald: «Ma all'interno [delle montagne] chi potrà dire che cosa vi si trova? Caverne della solitudine più terrificante, con pareti spesse chilometri, scintillanti di una coltre d'oro o d'argento, di rame o di ferro, di stagno e di mercurio, o forse tempestate di pietre preziose e magari un ruscello, nel quale nuotano pesci ciechi, che scorre e scorre incessantemente, freddo e barbugliante, fra le sponde incrostate di granati e dorati topazi, oppure su ghiaia i cui ciottoli sono ora rubini ora smeraldi, e forse diamanti e zaffiri - chi può dirlo?»Quando la principessa riesce infine a guarire il re, il momento del risveglio potrebbe ricordare ad alcuni il risveglio di Theoden nel Signore degli Anelli.
- Lilith (1895), tra i romanzi più lunghi e complessi di MacDonald, narra la storia del libraio Mr. Vane, che si trova a viaggiare in un universo parallelo inseguendo il precedente libraio che sembra dargli la caccia. In questo mondo parallelo, il protagonista scopre una casa in cui gli spiriti peccatori vengono guariti dal sonno fino a trovare una “buona morte”, incontra bambini che non vogliono crescere e li aiuta contro Lilith, prima moglie di Adamo e ora regina del regno di Bulika. Tolkien cita l'opera accanto a The Golden Key nel già citato passo del saggio “Sulle fiabe” come postilla al tentativo di MacDonald di veicolare il mistero attraverso le sue fiabe: «anche quando in parte egli fallì, come in Lilith (che definì romanzo)». L'opera di MacDonald viene nominato da Tolkien anche in relazione alla grande attrazione che l'autore scozzese avrebbe avuto nei confronti della morte, come già menzionato rispetto a The Golden Key.
Fonti biografiche
- Michael White, Vita di J.R.R. Tolkien, Bompiani 2002.
- Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien: la biografia, Lindau 2009.
- J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani 2002.
Fonti critiche
- Wayne G. Hammond e Christina Scull, The J.R.R. Tolkien companion and guide, HarperCollins 2006.
- Wayne G. Hammond e Christina Scull, The definitive annotated companion to The Lord of the Rings, HarperCollins 2005.
- Douglas A. Anderson, Lo Hobbit annotato, Bompiani 2004.
- Verlyn Flieger e Douglas A. Anderson (a c. di), Tolkien On Fairy-stories: Expanded edition, with commentary and notes, HarperCollins 2008.
- George Burke Johnson, “The Poetry of J.R.R. Tolkien” in The Tolkien Papers, 1967.
- Clyde S. Kilby, Tolkien & The Silmarillion, Harold Shaw Publishers 1976.
- Frank Bergman, “The Roots of Tolkien's Tree: The Influence of George MacDonald and German Romanticism upon Tolkien's Essay On Fairy-Stories” in Mosaic 10 #2 (inverno 1977).
Letture on-line:
- Glenn Edward Sadler, “Defining Death as ‘More Life’: Unpublished letters by George MacDonald”
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