Tolkien illustrato: Gandalf
Ispirata dalla mostra allo spazio WoW, e dato che il testo originale non è più disponibile on-line, pubblico alcuni appunti realizzati all'epoca del catalogo per la mostra romana sullo Hobbit, ampliandoli con alcuni degli ultimi studi in tema iconografico. Il primo articolo si concentrava sulla figura di Gandalf e sul come, nel tempo, lo stregone abbia perso il cappello.
1. Il primo Gandalf: origini vere e presunte (con tocchi di rosso)
Nella sua Biografia, Humphrey Carpenter riporta un aneddoto reso poi celebre da Douglas A. Anderson nel suo Hobbit Annotato, testo imprescindibile per comprendere il Tolkien illustratore e la genesi visiva di alcuni tra i suoi personaggi più amati. Secondo questo aneddoto, Tolkien avrebbe acquistato alcune cartoline durante una sua escursione in Svizzera nell’estate del 1911: una di queste, era la riproduzione di un quadro che raffigurava un anziano con un mantello rosso e una lunga barba bianca, seduto sotto un albero ad accarezzare un cerbiatto. Il quadro è intitolato Der Berggeist e Carpenter lo attribuisce erroneamente a tale J. Madelener. Carpenter annota anche che Tolkien “conservò questa cartolina con cura e successivamente scrisse Origine di Gandalf sulla busta che la conteneva”.Nonostante Hammond e Scull presentino questa immagine come l'effettiva origine di Gandalf nel loro Artist and Illustrator, la teoria di Raps circa la datazione dell'opera è stata confermata da Manfred Zimmermann, che per il suo articolo “L’Origine di Gandalf e Josef Madlener” in Mythlore #34 (inverno 1983), ha intervistato Julie Madlener, figlia dell’artista. Oltre a ricordare il dipinto del padre, la donna ne posiziona la genesi qualche tempo dopo il 1925/26 e osserva che la versione cartolina fu “pubblicata alla fine degli Anni ’20 da Ackermann Verlag München con tre o quattro immagini simili di motivi tratti dalla mitologia tedesca: una fata del bosco, un cervo con una croce luminosa tra le corna, ‘Rübezahl’ (un personaggio fiabesco), e forse un altro ancora” (p. 22).
Nel suo The History of the Hobbit, John D. Rateliff tenta nuovamente di ricollegare Gandalf alla cartolina di Madelener attraverso alcune illustrazioni del cappello di Gandalf realizzate da Tolkien tra il 1936 e il 1937, ma è evidente che le radici profonde della figura dello stregone sono da ricercarsi altrove.
Nonostante il suo nome, tratto dalla Völuspá insieme all'elenco degli altri nani, fosse originariamente destinato al capo della spedizione (personaggio che sarebbe poi stato battezzato Thorin), Gandalf nasce da subito come uno stregone di aspetto umano, benché nello Hobbit la sua descrizione sia piuttosto distante dalla statura che il personaggio assumerà nel Signore degli Anelli e dal ruolo angelico che Tolkien gli attribuirà nei suoi scritti più tardi. L'aspetto dimesso, sotto al quale si nascondono grande saggezza e un grande potere, rimanda alla figura di Odino vagabondo, connessione riportata da Tolkien stesso nella sua Lettera #107 e analizzata a fondo da Marjorie Burns nel suo saggio "Gandalf and Odin" (Tolkien's legendarium: essays on the History of Middle-Earth, 2000): secondo la Burns, le principali caratteristiche di Gandalf ovvero il cappello, la barba e il bastone sarebbero "le caratteristiche chiave che Odino manifesta quando abbandona Asgard e viaggia sotto mentite spoglie attraverso il piano dell'esistenza umana, la Terra di Mezzo della mitologia norrena. Durante questo suo vagabondare terreno, Odino non compare in veste di divinità austera e minacciosa, né in quella del sanguinario dio delle battaglie, ma assume le sembianze di un vecchio dalla barba grigia, che si appoggia a un bastone e indossa una mantella con cappuccio (generalmente blu) e un grande cappello floscio a falde larghe".
Delle illustrazioni compiute di Tolkien, la sola che raffiguri Gandalf è I tre Troll diventano di pietra.
2. Gandalf il grigio, verso la raffigurazione corrente
Nonostante la figura di Gandalf sia tra le più facili da interpretare visivamente, per la sua vicinanza allo stregone barbuto che era già immagine diffusa prima dell'arrivo di Tolkien, spiccano tra gli illustratori ufficiali di Tolkien alcune visioni particolari.È il caso del portoghese Antonio Quadros, che per l'edizione del 1962 ci regala un Gandalf con una corta blusa sopra ai grandi stivali spesso dimenticati, un bastone decorato da una pigna e uno stravagante cappello alla Errol Flynn. Meno estroso ma altrettanto malvestito è il Gandalf di Livia Rusz in Bilbo e Gandalf davanti a Casa Baggins per l'edizione rumena del 1975, con una grande barba a ventaglio e un bastone ingioiellato che diventerà luminoso nell'illustrazione Gli orchi escono dalle fessure.
Il surrealista Klaus Ensikat, nella sua Bilbo e Gandalf davanti a casa Baggins per l'edizione tedesca del 1971 ci mostra un più tradizionale Gandalf di spalle, il cui bastone tuttavia è un bastone da passeggio e non lo strumento di potere dell'Odino vagabondo.
Anche Michail Belomlinskly disegna, per l'edizione russa del 1976, un Gandalf tradizionale e dall'aria simpatica, con scarpe a punta e una piuma sul cappello. Assai più oscuri sono invece il Gandalf di Tamás Szecskó (edizione ungherese, 1975) e quello di Torbjörn Zetterhorm, che nell'edizione svedese (1947) realizza un I nani suonano in cui lo stregone è raffigurato senza cappello, in primo piano, mentre con il fumo della sua pipa sembra dare forma alla figura di un teschio. Si tratta di uno dei pochi illustratori che si discosta dall'atmosfera festosa e sceglie di concentrarsi sulla nota relativa a quei giochi di fumo che, concentrandosi attorno a Gandalf in una nube, gli davano un aspetto "strano e stregonesco".
Tutte queste illustrazioni, in bianco e nero, hanno la fortuna di non doversi misurare con uno dei problemi relativi alla raffigurazione di Gandalf, ovvero i colori.
La descrizione data nello Hobbit, riporta chiaramente che lo stregone "aveva un alto cappello blu a punta, un lungo mantello grigio, una sciarpa argentea sulla quale la lunga barba bianca ricadeva fin sotto la vita e immensi stivali neri". Tuttavia, le raffigurazioni successive e l'insistenza della narrazione sul colore grigio, spinge gli illustratori a dimenticare spesso il blu del cappello, o l'imponenza dei neri stivaloni. Non è il caso di Horus Engels, lo straordinario artista tedesco che il 1 novembre 1946 spedì a Tolkien una meravigliosa lettera illustrata che mostra, proprio in alto a sinistra, un Gandalf corredato dal grande cappello blu (accompagnata, purtroppo, a una raffigurazione di Gollum non altrettanto felice). Non è il caso di Michael Hague, le cui illustrazioni di Gandalf per lo Hobbit del 984 sono tra le meno popolari ma, forse, tra le più fedeli alla descrizione originale (si veda ad esempio Gandalf viene salvato dalle aquile, l'incontro con Beorn che ci mostra un Gandalf di spalle o l'immagine sul limitare di Granburrone).
Mentre il manto rosso sembra essere rimasto nella mente dell'autore, il cappello blu non viene mai abbandonato da Tolkien nemmeno negli scritti successivi: nel Signore degli Anelli, l'autore ci presenta un Gandalf "con un aguzzo cappello blu, un largo mantello grigio e una sciarpa color argento". Tra gli illustratori più celebri Alan Lee porta il blu in secondo piano, raffigurando spesso un Gandalf senza cappello, ma non ha timore di utilizzare il colore quando le circostanze lo richiedono. Lo stesso John Howe nella celebre raffigurazione di Gandalf vagabondo si concede che una punta di colore plumbeo sul grande cappello dello stregone, mentre Ted Nasmith tenta di imporsi con un Gandalf completamente azzurro, forse tra le illustrazioni meno popolari di tutti i tempi.
Sono illustrazioni realizzate tra il 1972 e il 1995, un periodo in cui era ancora possibile che artisti come John Howe si dichiarassero influenzati da illustratori come i fratelli Hildebrandt, il cui Gandalf non ha timore di sfoggiare abiti blu. Un periodo in cui le uniche raffigurazioni mainstream di Gandalf possono essere ricondotte al cartone americano del 1977 ispirato allo Hobbit e alla celebre opera d'animazione di Ralph Bakshi (1978) che vede un Gandalf eroico doppiato da William Squire.
Volendo escludere lo sceneggiato sovietico Сказочное путешествие мистера Бильбо Беггинса Хоббита del 1985, la miniserie live action finlandese Hobitit del 1993 e il corto di animazione The Hobbit! iniziato nel 1966 dal regista americano Gene Deitch con l'illustratore ceco Adolf Born, la prima raffigurazione mainstream di Gandalf è quella proposta da Alan Lee come direttore artistico dell'operazione cinematografica.
Forse per volontà di semplificazione, Gandalf appare interamente grigio sin dai primi schizzi.
"Peter s'innamorò di una vignetta di Gandalf dipinta da John Howe", scrive la costumista Ngila Dickinson parlando dei bozzetti per la figura dello stregone "Era magnifica e capace di dare un'ottima interpretazione del personaggio di Gandalf. Era una vera sfida cercare di ridisegnarlo - ed è proprio quello che abbiamo fatto -. Naturalmente il cappello costituiva la prova più dura. Per il nostro lavoro ci siamo basati unicamente su quella". Scompare quindi la sciarpa, assente nell'illustrazione di Howe e poi riproposta per lo Hobbit in omaggio ai lettori. Scompare il dettaglio degli stivali, già peraltro eliminato da Tolkien nella sua successiva descrizione dell'istaro, e quello che è lo stregone per eccellenza della letteratura fantasy perde così il suo dettaglio più disneyano: quel cappello blu che ci veniva in eredità dalla figura odinica ispiratrice.
Riferimenti bibliografici:
- Christopher Tolkien, Pictures by J.R.R. Tolkien. London, 1979.
- Wayne G. Hammond and Christina Scull, The Art of the Hobbit. London, 2011.
- Wayne G. Hammond and Christina Scull, J.R.R. Tolkien Artist and Illustrator. London, 2004.
- Wayne G. Hammond and Christina Scull, The Lord of the Rings: a Reader's Companion. London, 2005.
- Eduard Raps, Josef Madlener 1881 bis 1967, Memmingen, 1981.
- Manfred Zimmermann, "The Origin of Gandalf and Josef Madlener" in Mythlore 34, 1983.
- Hans-Wolfgang Bayer e Johannes Hoyer, "Der Nachlaß des Memminger Künstlers Josef Madlener" in Schönere Heimat 87 (1998).
- Gary Russel, L'arte della Compagnia dell'Anello. London, 2002.
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